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Intervista al Tenente Colonnello Alessandro Albamonte della Brigata Folgore di Livorno

tenente-colonnello-alessandro-albamonte-comandante-brigata-folgore-di-livornoL’abbinamento Azienda e Mondo militare è l’argomento che mi accompagna in questo periodo: è uscito un articolo sul tema; abbiamo organizzato un’Alleanza dei Cervelli in Caserma; ed ora la voce di chi da anni vive l’esperienza di comando militare e si interroga, come noi, sulle affinità tra le due realtà.

Ho avuto l’onore di incontrare e conoscere il Tenente Colonnello Alessandro Albamonte presso la Brigata Folgore di Livorno, una persona empatica, colta, preparata al di sopra dell’immaginario, e soprattutto umana e profonda, come forse nessuno si aspetta di trovare dietro quelle divise di paracadutisti quasi “irraggiungibili”!

Nel 2011 il Tenente Colonnello Albamonte, Capo di Stato Maggiore della Brigata paracadutisti Folgore, è stato vittima presso la stessa Caserma di un attentato che gli ha provocato amputazioni delle dita delle mani, ferite al volto e alle gambe, e la perdita dell’occhio sinistro…..nonostante questo Albamonte ha continuato, più da stratega che da operativo, la sua attività, perché ritiene, come ho letto in una lettera che ha scritto ai suoi commilitoni, che “…un limite fisico non può essere un condizionamento per chi sceglie di sacrificarsi per un’idea o per i colori non sbiaditi della propria bandiera, per chi preferisce alla logica di potere e allo stolto senso dell’apparire concetti eterei ed impalpabili come lealtà, onore, spirito di corpo, per chi esalta il proprio rendimento nelle avversità, per chi sorride e non si dispera innanzi al destino beffardo, per chi accoglie la paura consapevole di saperla gestire, …per chi è consapevole che la rabbia sottrae lucidità, …per chi scava nell’anima del proprio avversario guardandolo negli occhi, per chi accetta il dialogo pur essendo preparato alla contesa…”.

Ho avuto il piacere di intervistare questa persona che solo a pelle esprime amore per il suo lavoro e per i “suoi uomini”.

D: Colonnello Albamonte, alcuni ritengono che ci siano molte affinità tra il mondo militare e quello aziendale, altri pensano che forse potevano esserci un tempo, quando i mercati erano più statici, più “controllati” e la concorrenza più circoscritta. Cosa ne pensi?

R: Ritengo vi siano molte aree di sovrapposizione, dagli ambienti operativi ai mercati, dalla pianificazione basata sulla Information Superiority a provvedimenti adottati in relazione al Risk Assessment, fino all’avversione alle perdite (anche se di “tipologia” differente). Infatti, i moderni scenari operativi caratterizzati da minacce multiformi rese sfuggenti da battle space frenetici, non sono difformi dall’ambiente imprenditoriale, dove la dinamicità disorienta le aziende spingendole a mitigare continuamente gli effetti di pianificazioni fallaci, basate su dati “esoterici” e riferite a orizzonti temporali sempre più esigui. Un’autonomia decisionale spinta fino ai minimi livelli, unita alla capacità dei leader di fluttuare attraverso l’accettazione di una continua e perenne transizione, rappresentano le leve per conseguire la sopravvivenza delle organizzazioni in segmenti resi incerti da regole indeterminabili.  In aggiunta, in ambienti culturalmente divergenti, approcci open-minded e iniziativa sono valide contromisure per fidelizzare popolazione e autorità del paese ospitante, creando, così, i presupposti di sicurezza più adatti alla finalizzazione dei propri progetti. Anche la ricerca di nuove opportunità d’investimento, del resto, viene guidata, secondo il concetto militare dell’ Intel-driven, dall’analisi di elevati volumi di informazioni utili a individuare aree di crescita ove concretizzare possibili profitti, nei quali un ruolo preminente viene garantito dal Risk Assesment, strumento a disposizione del leader in fase decisionale per comprendere la reale esposizione a eventuali perdite.

D: Quali secondo te le maggiori analogie tra il mondo militare e quello aziendale? Anche a livello di strategie, figure, metodo….

R: Cercherò d’ispirare chiavi di lettura utili per neofiti imprenditori. Innanzitutto, un prodotto eccellente come un servizio efficace nascono da aziende credibili. Organizzazione, efficienza, flessibilità, professionalità diffusa sono caratteristiche imprescindibili per un’azienda come per un’istituzione. La flessibilità transita attraverso l’accettazione da parte di tutti di una accentuata intercambiabilità dei ruoli, ove, ogni operatore deve applicarsi con senso del dovere e spirito di sacrificio anche in mansioni non proprie o per le quali non risulta adeguatamente formato, per conseguire efficienza dei processi e, in linea di massima, per il bene collettivo. Tutti importanti, ma sostituibili.

Le figure super-tecniche, creando “colli di bottiglia” decisionali/procedurali, comportano una dipendenza che le aziende devono rifiutare per conservare la propria flessibilità, chiave della sopravvivenza in mercati iper-dinamici. Inoltre, le opportunità possono essere colte in tempi relativamente brevi/utili, solo improntando sulla fiducia reciproca il rapporto leader-collaboratore, coinvolgendo il personale nel processo decisionale (senza delegare la responsabilità) e garantendo un’autonomia decisionale spinta fino ai minimi livelli per il personale dipendente che ha mostrato ripetutamente istinto, senso di appartenenza, rispetto dell’etica aziendale, identificazione nel ruolo. Strategie possibili. In combattimento, i leader in uniforme ricercano partnership frequenti, anche con eserciti stranieri, organizzando le unità secondo il concetto della taskorganization (assemblo la struttura sulla base del compito ricevuto); assetti differenti amalgamati ed addestrati opportunamente, accrescono i livelli generali di protezione, rapidità di esecuzione e potenza di fuoco (in una organizzazione flessibile, ognuno condivide i propri punti di forza individuali, riducendo la vulnerabilità complessiva).

Anche le aziende, forse, dovrebbero ricercare opportunità simili (almeno in partenza), rinunciando al profitto pieno per una maggiore sicurezza nella suddivisione equa di rischi e oneri. Puntare alla crescita lenta ma costante, consolidarsi e, solo in futuro, mettersi in proprio rinunciando a eventuali partner, ovvero, scandagliare il segmento alla ricerca di nuove collaborazioni.

D: La leadership di un comandante militare può essere paragonata a quella di un imprenditore? In cosa un mondo può imparare dall’altro e viceversa?

R: La mia idea è che, essendo la leadership una relazione tra esseri umani, non va distinta in base alle caratteristiche dell’ambiente ove si esercita. Una evidenza risiede nel senso di responsabilità del leader militare conscio che le proprie scelte possano condizionare l’esito della missione e influire (anche pesantemente) sul benessere del personale alle dipendenze, aspetto assimilabile al responsabile di impresa su cui grava il peso di interi nuclei familiari legati a “doppio filo” ai lavoratori dipendenti.

Investimenti e scelte inappropriate non inciderebbero sulla vita di un operaio come di un soldato (ancorché con “pesi immediati” differenti)?

Da consumatore mi impongo scelte di prodotti/servizi non dettate dall’economicità, ma da un rapporto di costo/efficacia opportunamente bilanciato da una sana predisposizione alla cura del cliente. Infatti, un aspetto che i leader devono curare con attenzione è quello di predisporsi alla crescita e valorizzazione del collaboratore come persona prima che come figura tecnica connessa con l’incarico affidatogli; ciò contribuisce alla coesione di collettivi performanti e resilienti.

Il leader imprenditore dovrebbe resettare i propri modelli comportamentali da task-oriented a relationship-oriented, adottando all’interno delle aziende stili di “cura” del collaboratore che lo stesso (basandosi sull’esempio) mutuerà semplicemente al cliente stabilendo rapporti di lealtà e fiducia che andranno ben oltre il semplice rapporto venditore-acquirente.

In sintesi, fidelizzare il proprio collaboratore per potenziare le skils collettive e indicare ai propri operatori come relazionarsi con il cliente.  La sfida per il futuro potrebbe risiedere nell’ottenere profitti maggiori nel lungo termine vedendo, nell’immediato, il cliente come essere umano e non come un portafogli ambulante.

D: Spesso i militari si arruolano per “passione” e sembra facile guidare persone motivate. Spesso in azienda si trovano persone che cercano solo uno stipendio e diventa difficile trasmettere valori. Cosa ne pensi, cosa suggerisci, come commenti?

R: La motivazione è un fattore personale. L’accumulo di ricchezza e l’esercizio del potere abbagliano e continueranno ad abbagliare moltissimi lavoratori. E’ nella natura umana. Non c’è soluzione. Tuttavia, esistono realtà lavorative nelle quali il personale decide di operare appagato da un mix di benefit economici e senso di appartenenza (Google, Apple, Ferrari).  Proprio partendo dall’assioma che ogni operatore possiede leve motivazionali proprie, taluni rinunciano a prospettive economiche anche rilevanti se conferiscono un peso maggiore al clima lavorativo, all’appartenenza a standard elitari o aderendo a propri personalissimi codici etici non quantificabili e contro-bilanciabili economicamente.

Il paracadutista militare, come il soldato in generale, concorre a garantire la sicurezza della collettività. Non è un lavoro, è una vocazione in grado anche di sostenere le nostre famiglie.

Risulta evidente la rilevanza di un fattore motivazionale difficilmente quantificabile economicamente (motivazione etica contrapposta a logica del profitto), laddove gli effetti delle proprie scelte professionali conducono a dolorose e perentorie privazioni.

In conclusione, il leader con il suo comportamento alimenta la motivazione dei propri collaboratori; nell’ideare il suo progetto, deve partire da un suo codice, da una sua etica aziendale (qualsiasi essa sia), deve aderire a essa conformandone i comportamenti propri e dei collaboratori.

Sulla base della mia personale esperienza “sul campo”, avere ben chiari ed interiorizzati i principi etici della propria istituzione (azienda) è un vantaggio evidente in momenti di crisi e confusione, allorquando l’assenza di punti di riferimento certi ci pone innanzi alla domanda fatidica: “E ora cosa faccio?”.

L’etica è una risposta eterea ma efficace che ci soccorre in assenza di indicazioni concrete attese da esseri umani incapaci, indecisi, in condizioni di scarsa lucidità. Il profitto etico e il senso di appartenenza potranno essere mutuati certamente anche a realtà non militari, fino a quando aziende e istituzioni saranno costruite attorno agli esseri umani che le alimentano.

Ten. Col. A. ALBAMONTE

(Contributo ad uso esclusivo dell’Associazione ”Impresa in corso”)

Suggerimenti, tecnici e profondi, su come portare avanti la propria “missione”, perché tale deve essere la propria idea imprenditoriale e professionale…grazie al Tenente Colonnello per questi spunti di riflessione.

E noi, da “attori” del mondo aziendale, come vediamo questa metafora con il mondo militare? Mi interessa conoscere i diversi punti di vista, per crescere insieme e per valutare davvero cosa e come imparare dalle realtà diverse dalla nostra.

Grazie per i commenti e i suggerimenti che volete lasciare!

About Nadia Toppino

Aree di competenza: Public Relations, Organizzazione Eventi, Food&Wine blogger, Creatività aziendale - Interessi personali: Food&Wine, Sociale e No profit, Business Networking

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